Pubblichiamo integralmente il testo della lettera spedita qualche giorno fa, in cui chiediamo che il nuovo decreto incentivi alle fonti rinnovabili non scateni di nuovo l’idroelettrico selvaggio . Siano ammessi soltanto gli impianti realizzati su condutture esistenti!
–
Al Ministro Luigi Di Maio
–
Al sottosegretario Davide Crippa
Ministero
dello Sviluppo Economico
–
Al ministro Sergio Costa
Al capo segreteria tecnica Tullio Berlenghi
Ministero
dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare
Oggetto:
schema di decreto FER 1 – problematiche inerenti l’incentivazione
delle fonti rinnovabili idroelettriche
Lo
schema di Decreto per l’incentivazione dell’energia da fonti
rinnovabili, predisposto dal Ministero dello Sviluppo Economico e
presentato all’attenzione della competente Commissione Europea,
prevedeva un deciso ridimensionamento degli incentivi alla produzione
idroelettrica,
non
rinnovandoli agli impianti nei corsi d’acqua naturali ma solo a
impianti che utilizzano acqua già destinata ad altri usi.
La
decisione è stata presa alla luce dei danni ambientali che gli
impianti idroelettrici realizzati negli ultimi anni hanno arrecato
ai corsi d’acqua nazionali, e in particolare a quelli alpini.
Sotto
la spinta di un incentivo statale assai elevato introdotto in totale
assenza di normativa di tutela, così come certificato dall’apertura
della procedura PILOT 6011 2014 ENVI, siamo passati da 1270 impianti
nel
2009 a 3074 nel 2017.
Ad
oggi, per nessuno degli impianti autorizzati è stato valutato nella
sostanza il rispetto della Direttiva Quadro Acque, per mancanza di
indicazioni sulle metodiche da utilizzare e per l’inadeguatezza della
classificazione dei corpi idrici e dei Piani di Tutela da parte delle
Regioni Italiane.
Per
dare attuazione alla Direttiva 2000/60/CE in Italia, il Ministero
dell’Ambiente ha emanato il
Decreto
Direttoriale STA n. 29 del febbraio 2017.
A
fine 2017 il Decreto è stato recepito dalle Autorità Distrettuali
Italiane con le rispettive “Direttive Derivazioni”.
Ma
queste misure, pur animate da buone intenzioni ed apparentemente
valide, di fatto ancora non sono efficaci.
Essendo
un Decreto Direttoriale, esso non ha valore prescrittivo. Infatti le
Linee Guida Direttoriali STA 29 sono state variamente interpretate
dai diversi Distretti Idrografici che nel tradurle nelle varie (7)
Direttive Derivazioni Distrettuali (Alpi Orientali – Distretto Padano
– Appennino Settentrionale – Appennino Centrale – Appennino
Meridionale – Distretto della Sicilia e Distretto della Sardegna)
hanno indebolito la tutela rispetto a quanto indicato dal Ministero
riducendone ulteriormente l’efficacia.
Sembra
che il MISE in questi giorni abbia cambiato posizione e riproponga
l’incentivazione all’idroelettrico nei corsi d’acqua naturali,
con l’aggravante di aver anche aumentato le tariffe rispetto al
precedente schema (Ministro Calenda) accontentandosi di integrare le
domande di incentivazione con una certificazione del rispetto delle
suddette linee guida (Decreto
Direttoriale STA n. 29) o peggio ancora delle Direttive Derivazioni
Distrettuali.
Così
facendo il degrado ambientale dei corsi d’acqua naturali rischia di
aggravarsi ulteriormente.
Ma
al di là delle evidenti problematiche ambientali, è necessario
riesaminare l’utilità di prevedere in Italia una ulteriore
incentivazione della fonte idroelettrica, in particolare per quegli
impianti di piccole e medie dimensioni che utilizzano le acque
fluenti di corsi d’acqua le cui portate sono fortemente influenzate
dalle variazioni metereologiche.
I
progetti che si andrebbe oggi ad incentivare, impegnando i relativi
finanziamenti per i prossimi 20 anni, sarebbero basati ancora una
volta su calcoli presunti delle portate.
I
progetti autorizzati finora infatti non si basano su monitoraggi
reali e protratti nel tempo delle portate effettive ma su stime e
modellistica idrologica, calcoli che già oggi si rivelano aleatori e
basati su ipotesi ottimistiche. E soprattutto calcoli che, nonostante
gli allarmi continuamente segnalati dalle associazioni ambientaliste,
non hanno minimamente tenuto conto dei cambiamenti climatici in
corso.
Questa
analisi viene implicitamente avvallata proprio da Assoidroelettrica
che, a nome delle associazioni dei produttori di energia
idroelettrica, ha richiesto al sottosegretario Crippa di ottenere lo
“stato di calamità naturale” a causa della siccità lamentando
il fatto che i loro guadagni si sono ultimamente drasticamente
ridotti, al punto di affermare: “Sono
infatti passati quei tempi in cui idroelettrico era sinonimo di
guadagni anche significativi. In pochi anni i numeri in gioco si sono
letteralmente stravolti”.
Ne
troviamo conferma anche nel Rapporto statistico 2017 del GSE: “I
fattori meteorologici rappresentano la ragione principale della
variabilità della produzione idroelettrica. Mentre la potenza
degli impianti è cresciuta lievementee
gradualmente, nel periodo dal 2003 al 2017 la produzione ha invece
subito variazioni molto significative; nel 2017, in particolare, la
produzione idroelettrica è stata pari a 36.199 GWh, in netto calo
rispetto al 2016 (-14,7%)”.
Siccome
gli impianti con potenza inferiore a 1 MW sono gli unici che
aumentano di numero (nel 2017 sono 538 in più del 2016 secondo il
Report GSE), ci si aspetterebbe di veder crescere l’energia prodotta
almeno per questa categoria, invece anche qui la produzione
energetica diminuisce.
Questo
dimostra inequivocabilmente che non è energeticamente strategico
aumentare il numero dei piccoli e medi impianti, in quanto il loro
apporto alla produzione complessiva nazionale è del tutto
insignificante.
Nelle
scelte che dovrebbero governare l’incentivazione delle FER non si
può non considerare quanto le diverse tecnologie siano
effettivamente utili al raggiungimento degli obiettivi fissati.
L’incentivo ha l’obiettivo di incentivare, appunto, e incrementare
la produzione di energia da FER, non
quello di sostenere economicamente le imprese che a diverso titolo
operano nel settore dell’energia e delle costruzioni.
Questa
premessa è fondamentale ma non viene debitamente considerata,
generando così, l’equivoco per cui è scontato che l’incentivo debba
assolvere, a mo’ di sostegno di Stato, alle mancanze o alle
criticità di determinati settori produttivi e occupazionali, fatto
che rivela chiaramente la noncuranza degli effetti in termini di
interesse più generale.
A
fronte di tale situazione c’è da chiedersi se sia opportuno
destinare ancora ingenti somme, che peseranno ulteriormente sulle
bollette dei cittadini per 20 lunghi anni, ad un settore su cui già
incombe un rischio di crisi finanziaria. Lo Stato, oltre ad assistere
il comparto con gli incentivi, sarà anche chiamato a dover salvare
le aziende che hanno basato le loro stime di produzione su previsioni
poco realistiche? Con un esborso a carico dello Stato doppio e non
giustificabile finanziariamente?
Riteniamo
che fin d’ora, prima di concedere degli incentivi che potrebbero
configurarsi come degli aiuti di Stato ingiustificati ad un settore a
rischio, si debba procedere a delle analisi molto più realistiche
del potenziale produttivo ancora disponibile, alla luce delle
previsioni che si possono avanzare sui cambiamenti climatici in atto.
Chiediamo
pertanto che il MISE e MATTM valutino più attentamente le questioni
sopra trattate e che non tradiscano le scelte e le posizioni sinora
sostenute.
Aosta
16 maggio 2019
Legambiente
della Valle d’Aosta
Il Presidente Denis
Buttol