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Concorso fotografico CAS. I vincitori
Sezione/Sottosezione | Aosta |
Data | 27/01/2014 |
Autori fotografie | Enrico Girardi, Nadia Dixon, Giulia Ollari |
Descrizione | Durante l’assemblea di Legambiente – una bella assemblea affollata con una cinquantina di presenti – sono state premiate le foto più interessanti sulla CAS ricevute in questo mese.
Il primo premio va ad una ”fumata” di Enrico Girardi. E’ del 7 gennaio: le scuole riprendono e una bella fumata saluta i ragazzi ormai rientrati a casa. L’immagine ritrae il corpo dello stabilimento nella sua impressionante vicinanza al centro di Aosta, in questo caso piazza Narbonne Il secondo premio è per una insolita città di Aosta, coperta da nubi veramente basse: spuntano solo le cime di alcuni campanili. La CAS non c’entra con il fenomeno ma la suggestione di una città nascosta da una bruma innocente (che però schiaccia e trattiene i veleni sotto di lei) ci è sembrata interessante e artistica. Complimenti a Nadia Dixon, autrice dello scatto. Al terzo posto una fumata ”legale”. Premiamo con questo scatto la giovane Giulia Ollari che ci permette, con questa foto dalla bella definizione nonostante la luce scarsa, di riconoscere le fumate bianche, prevalentemente di vapore acqueo, che escono da punti ben distinti e, immaginiamo, filtrati. Un premio di incoraggiamento quindi, a continuare ad osservare cosa accade intorno a noi. E anche a te che leggi facciamo l’invito di continuare a monitorare la Cogne e documentare le fumate rossastre, con tanto di data e ora. |
Povero Lupo!
Il ritorno del Lupo nelle Alpi non poteva che destare sentimenti contrastanti. Un conflitto tra opposti sensi, anche con tracce arcaiche. Spesso, più di quanto non si possa immaginare ritorna la rappresentazione del lupo come belva. Un’interpretazione insopportabile per una naturalista per di più ambientalista (sic!), pur tuttavia degna di attenzione dal punto di vista socioeconomico e antropologico. Anzi da indagare e conoscere soprattutto se si ha l’ambizione di smantellare quei luoghi comuni duri a morire e, al contempo, disvelare i reali problemi dei montanari.
A parlare di “lupo mannaro” inteso come antropofago, a volte ci si mettono anche persone con una certa cultura e perciò consapevoli delle proprie affermazioni. In casi come questi diventa difficile non pensar male, tanto paiono lontani da un approccio razionale e scientifico o semplicemente da una normale capacità di analisi di fenomeni e fatti. Allo stesso modo fa meraviglia la confusione tra fatti e commenti, mescolanze che non aiutano a distinguere una narrazione fantasiosa da ciò che è realmente accaduto, perciò documentato e quindi dimostrabile. Un conto è recuperare i racconti, le leggende, le storie del passato per darne un’interpretazione socio-antropologica. Sempre utile ed interessante per capire l’animo umano e la società, così come ci hanno insegnato Adorno e De Martino con i fondamenti dell’antropologia culturale.
Diverso è insistere su stereotipi e luoghi comuni per alimentare fantasmi e paure, improponibili nel moderno Piemonte del terzo millennio. Non è assolutamente vero che il lupo attacca gli esseri umani addirittura al pari delle pecore. Il lupo è così timido e riservato da tenersi ben lontano dalla nostra specie. E’ un miracolo vederlo. Con questo modo di pensare si continua a considerare pericoloso per gli umani un animale come il lupo, sebbene in questi anni non ci sia mai stato nelle Alpi nessun caso di attacco alle persone.
Una valutazione difficile da accettare visto che quotidianamente conviviamo con rischi sia in casa che all’aperto, tanto enormi quanto incompresi. Percepire la giusta dimensione del rischio e convincere gli altri a farlo, credo sia un impegno minimo per un paese civile. Il lupo non è né buono né cattivo, è un animale come un altro. Probabilmente se lo si conoscesse un po’ di più e si studiassero i dati che abbiamo a disposizione (Progetto Lupo Regione Piemonte), si eviterebbero tante sciocchezze. A partire dal 1999 il numero di branchi di lupo presenti sul territorio regionale è aumentato e di conseguenza è cresciuto anche il numero di attacchi al bestiame domestico, pur non in maniera proporzionale.
Esiste una scienza che ci aiuta a conoscere il comportamento degli animali: l’etologia. A questa dovremmo affidarci quando vogliamo seriamente parlare di animali, siano essi lupi o cani domestici o quant’altro del regno animale. A partire dalle conoscenze scientifiche dovremmo iniziare a costruire una seria strategia per rendere possibile una convivenza con il ritorno del lupo. Anche se modesto, è innegabile il pericolo per le greggi, e su questo rischio occorre intervenire. Allo stresso modo occorre comprendere il forte patimento dei pastori “onesti” colpiti. Non capire la sofferenza per un gregge distrutto è da sconsiderati, ma la risposta deve essere “di testa”, non “di pancia”.
Occorre intervenire rafforzando quei progetti utili ad affrontare i reali problemi dovuti al ritorno del lupo nei pascoli montani. Progetti che realizzino monitoraggi continui sul territorio regionale, sui danni verso gli animali domestici. Sono da sostenere le attività di prevenzione, gestione, con team di veterinari come supporto agli allevatori, insieme a strumenti normativi per un rapido rimborso dei danni subiti. Non ultimi i premi per gli allevatori virtuosi che gestiscono il pascolo con buone pratiche. Attività come queste sono contemplate nell’ottimo progetto del Parco Regionale delle Alpi Marittime, che la Regione Piemonte, con poca lungimiranza, ha pensato di troncare interrompendo i finanziamenti dal 1° gennaio 2012. Un altro progetto importante, per dimensioni e per risultati è il Life Wolfnet, promosso dai parchi dell’Appennino insieme a Legambiente. Due esempi da seguire e sostenere se si vuole effettivamente il bene della montagna e dei montanari. In ultimo non va dimenticato che, laddove c’è la capacità di reggere la sfida della convivenza con il lupo, possono sorgere nuove e forti opportunità economiche. Un territorio che tra le sue offerte turistiche sa anche offrire e comunicare la possibilità di incontri con animali selvatici così affascinanti come il lupo, non può che trarne giovamento. La dimostrazione concreta è il bellissimo centro faunistico Uomini e Lupi di Entracque che in due anni di attività ha registrato più di 40 mila visitatori. Una potenzialità economica in più per il territorio montano, sarebbe sciocco disdegnarla in un periodo di crisi come questo.
Dieci anni con le aquile reali
Ci vuole molta pazienza per osservare le aquile reali. Più pazienza che per il normale bird-watching. Perché – racconta Francesco Framarin in questo suo libro uscito nel 2010 per Temi di Trento – “un’aquila, pur essendo un uccello che non tende affatto a nascondersi, può mostrarsi più elusiva di un pettirosso (…) e i suoi movimenti possono essere così ampi e rapidi da portarla facilmente fuori vista”. Con una singola planata essa può spostarsi di 8 km e più e anche se le sue dimensioni permettono di seguirla col binocolo a grande distanza, in montagna basta poco per perderla d’occhio. Del resto quella con la proverbiale vista acuta è lei, mentre chi l’osserva deve unire alla pazienza un buon binocolo e una certa conoscenza degli usi sia della specie sia dell’individuo o della coppia osservata.
Framarin, direttore per dieci anni del parco nazionale del Gran Paradiso, ha avuto modo di osservare questo magnifico rapace – la grande aquila più numerosa al mondo – in una delle sue zone di maggior densità: le Alpi occidentali.
L’Ottocento è stato un secolo tragico per tutta una serie di animali portati all’estinzione dalle persecuzioni umane: il lupo, l’orso, la lince e l’innocuo gipeto, creduto anch’esso un predatore. Solo l’aquila se l’è cavata ed ha resistito sulle Alpi fino a quando è stata dichiarata specie protetta. Ora si può affermare che le persecuzioni umane dirette sono ridotte al minimo, ma crescono quelle indirette dovute alla manomissione del territorio: strade, rifugi e linee elettriche ad alta quota, impianti e piste da sci, elicotteri etc.
Con il prezioso contributo delle testimonianze di altri osservatori e soprattutto di alcuni guardaparco, che hanno potuto cogliere comportamenti o episodi significativi di questo rapace (piuttosto infrequenti, quasi sempre rapidi e assai brevi, quindi difficili da vedere), l’autore ha indagato e illustrato molti aspetti della vita delle aquile reali: come volano, come segnalano e difendono il possesso del loro territorio, come si corteggiano, come e perché fanno più di un nido, quali sono i rapporti tra maschio e femmina durante la caccia o l’allevamento dei pulcini etc.
I molti “ho visto” (più spesso “ho veduto”) di questa narrazione trasmettono al lettore l’immediatezza dell’emozione dell’autore. Perché è chiaro che tanta pazienza e minuzia nell’osservazione è poi ripagata dal quello che si vede e ancor più da quello che si capisce sulle abitudini di questa regina dei cieli alpini.
Gli ultimi capitoli del libro, “Relazioni pericolose” e “Conflitti”, sono dedicati ai rapporti dell’aquila con le altre specie di uccelli, i rapaci in particolare. I più appassionanti sono quelli con il corvo imperiale. I due se le danno senza esclusione di colpi: talvolta l’aquila usa letteralmente i pugni, mentre il corvo sfrutta le sue doti di agilità per azioni di mobbing che finiscono per allontanare il grande rapace.
Cervi a Flassin. Nella nebbia a caccia di bramiti
Quanti modi e quante ragioni per andare per boschi.
Il giorno della festa dei cacciatori, qualche anno fa, animalisti e ambientalisti, con la dichiarata intenzione di contrapporsi alle doppiette, si trovarono al castello di Quart dove era stata organizzata, nei boschi circostanti, una grande caccia al tesoro a squadre intitolata “Caccia alla focaccia”. In pallio per i partecipanti, che dovevano risolvere quiz, superare prove di destrezza e improvvisare cori, c’era infatti un metro cubo di squisita focaccia divisa poi equamente tra vincitori e vinti.
Quest’anno una gita organizzata da Legambiente a inizio mese ha portato i partecipanti – due terzi di valdostani e un terzo di turisti – a sfidare il maltempo e a salire nella nebbia lungo la comba di Flassin, tra Etroubles e Saint-Oyen, per ascoltare il bramito dei cervi. Una caccia incruenta, fatta con occhi e orecchie, seguendo un esperto, Ghigo Rossi che, prima della partenza, ha illustrato le caratteristiche e le abitudini della specie, i problemi che crea ai boschi e le strategie messe in atto dai forestali per salvaguardare cervi e alberi.
Il tramonto è l’ora migliore per ascoltare il richiamo potente dei cervi maschi per i quali l’inizio dell’autunno è la stagione degli amori. La gravidanza di una cerva dura infatti poco meno di quella umana e i cuccioli nasceranno a primavera inoltrata, pronti a godersi il calore della buona stagione.
Alle 20 alla luce di torce elettriche e lampade frontali gli escursionisti sono tornati a valle mentre i bramiti dei cervi.continuavano a risuonare tutt’intorno.