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PIÙ RUSPE CHE CAMOSCI IN VALLE D’AOSTA

Quest’estate sulle montagne della Valle d’Aosta abbiamo visto più ruspe che camosci”: questo ci ha detto una turista abituale della Regione.

In effetti, in Valle di ruspe in azione ne vediamo tante e da sempre. La novità (per noi negativa) è il fatto che le ruspe salgono sempre più in alta quota, ai piedi dei ghiacciai e sopra i ghiacciai, in una rincorsa nei confronti dei cambiamenti climatici.

Abbiamo denunciato nell’autunno passato lo sconvolgimento del ghiacciaio ai piedi del Cervino per realizzare la pista per la Coppa del mondo e, in primavera, abbiamo segnalato gli ingenti movimenti terra che hanno stravolto i connotati del territorio sopra Pila per realizzare le nuove piste e gli impianti legati al ristorante a forma di stella.

Quest’estate è stata la volta del comprensorio sciistico a monte di Champorcher. Sbancamenti e scavi per creare un invaso di innevamento artificiale a Laris, utilizzando le acque dell’omonimo torrente e quelle del torrente Ayasse. In questo caso quello che è particolarmente grave è il fatto che, per creare l’invaso, si è in gran parte distrutta una torbiera, che rappresenta un archivio naturale e antropico, un ecosistema altamente fragile, importante e tutelato a livello europeo.

Una torbiera è un vero documento storico-archeologico, oltre che un biotopo raro e interessante, ci racconta la storia a partire da più di 11000 anni fa, contiene la storia del clima e delle sue variazioni, attraverso l’avanzata e il ritiro dei ghiacciai e il loro rapporto con le popolazioni preistoriche e protostoriche.

I pollini contenuti all’interno della torbiera ci raccontano la storia degli ultimi 3000 anni.

L’importanza biologica e scientifica delle torbiere è stata avallata di recente dagli studi di Cesare Ravazzi e di Elisabetta Brugiapaglia effettuati all’alpe Cortlys e nel Vallone San Grato.

L’ottima conservazione del sito di Laris poteva favorire lo studio e l’analisi della frequentazione umana nei secoli e della coltivazione di cereali, ben documentata dalla presenza di un “grenier” a una quota di 1900 m.s.l.m. in stato di degrado.

L’intensa frequentazione e uso dei pascoli è anche dimostrata dai documenti storici fin dal XIII° e XIV° secolo.

La creazione dell’invaso comporta l’asportazione dei depositi torbosi con scavi e sterri alti anche oltre i 3 m., lo scavo di profonde trincee per posizionare le condotte di innevamento. Per favorire le piste il terreno viene rimodellato nelle pendenze, con scavi e riporti che interessano un’area molto ampia

Ricordiamo che vicino al futuro invaso c’è un piccolo nucleo di antiche abitazioni, il che dimostra che i luoghi erano già frequentati, almeno nel periodo estivo, già nel Medioevo.

L’intera asportazione della porzione torbosa andrebbe a cancellare un potenziale archivio di informazioni millenarie sull’evoluzione di questo settore alpino e sulle trasformazioni che questo ha subito per conto dell’uomo nell’arco di questi ultimi secoli”: così si conclude la Relazione archeologica preventiva sul sito predisposta a cura di Mauro Cortelazzo e Ada Gabucci.

 

Per quanto riguarda le finalità e le conseguenze dell’intervento, riconosciamo che, almeno al momento, gli amanti dello sci siano molto più numerosi rispetto a quelli interessati alla storia, alla natura e al paesaggio.

Però potrebbe venire il giorno in cui, venendo a mancare del tutto la possibilità di produrre la neve artificiale, magari si rimpiangeranno le risorse naturali distrutte: le scelte attuali condizionano infatti le prospettive future.

Un po’ di lungimiranza non guasterebbe.