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Parco Nazionale dello Stelvio

Il Parco Nazionale dello Stelvio è in una situazione indefinita dalla fine del 2010, da quando un decreto del Consiglio dei Ministri ne propose lo spacchettamento con la tripartizione tra le Province autonome di Trento e Bolzano e la Regione Lombardia, chiedendo la soppressione del Consorzio del Parco e azzerandone subito il Consiglio Direttivo e ottenendo di fatto un declassamento dell’area protetta da Parco Nazionale a una entità ancora indefinita. E’ vero che il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, non ha poi firmato il decreto in questione (per la mancanza d’intesa con la Regione Lombardia e per l’evidente contrasto con la Legge Nazionale sulle Aree Protette), salvaguardando l’unitarietà del Parco Nazionale e impedendone così l’entrata in vigore, ma oggi il caso Stelvio torna di attualità e sarà sicuramente affrontato dal nuovo governo nei prossimi mesi.

In che modo? Si parla di dare seguito all’accordo del dicembre 2010. Infatti si parla di un accordo elettorale già raggiunto tra il PD di Bersani e la Südtiroler Volkspartei (Bolzano) su quanto avviato dal Governo Berlusconi per la provincializzazione del Parco Nazionale dello Stelvio. Senza entrare in polemica con nessuno, Federparchi, Legambiente e Club Alpino Italiano ritengono che lo smembramento del Parco Nazionale dello Stelvio non abbia ragione di essere compiuto e non vedono ricadute positive da questo passaggio, oltre a essere, per il PD, un passo indietro rispetto all’azione di suoi due Senatori Ferrante e Della Seta che con le loro prese di posizione e denunce in Senato, evitarono proprio lo smembramento del Parco. L’assetto unitario del Parco, istituito quasi 80 anni fa (per il 70 per cento ricadente nel territorio lombardo) non può essere messo in discussione ed è un segnale che dimostra incompetenza nelle politiche di conservazione.

Agli enti locali, che hanno il ruolo più importante nella gestione delle aree protette nazionali a partire dalla composizione degli organi (e in questa direzione le nostre associazioni stanno da tempo lavorando, per esempio nel portare contributi ‘local’ alla stesura della nuova 394) compete l’impegno per rilanciare, a livello europeo, transnazionale, la prospettiva di un Parco con il prestigio e la storia dello Stelvio.

Smembrare, rimarcare confini che la natura non riconosce, piegarsi a logiche politiche in cui valori affermati e tutelati, di territori e tradizioni, passano in secondo piano, creerebbe gravi danni all’ambiente.

Oggi è prioritario riavviare la piena funzionalità dell’Ente Parco con il rinnovo degli organi collegiali, compito che compete al Ministro dell’Ambiente. L’efficace e rispondente gestione del territorio ha bisogno di confronti tra gli interlocutori interessati: provinciali, regionali, nazionali e oltre. L’impegno futuro va profuso nel fissare nuovi obiettivi di conservazione, aperti al territorio e lungimiranti, magari insieme al Parco svizzero dell’Engadina o agli altri parchi vicini.

INFO: Ufficio Stampa Federparchi

Concorso fotografico CAS. I vincitori

 Sezione/Sottosezione Aosta
 Data 27/01/2014
 Autori fotografie Enrico Girardi, Nadia Dixon, Giulia Ollari
 Descrizione Durante l’assemblea di Legambiente – una bella assemblea affollata con una cinquantina di presenti – sono state premiate le foto più interessanti sulla CAS ricevute in questo mese.

Il primo premio va ad una ”fumata” di Enrico Girardi. E’ del 7 gennaio: le scuole riprendono e una bella fumata saluta i ragazzi ormai rientrati a casa. L’immagine ritrae il corpo dello stabilimento nella sua impressionante vicinanza al centro di Aosta, in questo caso piazza Narbonne

Il secondo premio è per una insolita città di Aosta, coperta da nubi veramente basse: spuntano solo le cime di alcuni campanili. La CAS non c’entra con il fenomeno ma la suggestione di una città nascosta da una bruma innocente (che però schiaccia e trattiene i veleni sotto di lei) ci è sembrata interessante e artistica. Complimenti a Nadia Dixon, autrice dello scatto.

Al terzo posto una fumata ”legale”. Premiamo con questo scatto la giovane Giulia Ollari che ci permette, con questa foto dalla bella definizione nonostante la luce scarsa, di riconoscere le fumate bianche, prevalentemente di vapore acqueo, che escono da punti ben distinti e, immaginiamo, filtrati. Un premio di incoraggiamento quindi, a continuare ad osservare cosa accade intorno a noi.

E anche a te che leggi facciamo l’invito di continuare a monitorare la Cogne e documentare le fumate rossastre, con tanto di data e ora.
Buon anno (associativo).
Legambiente.

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Povero Lupo!

Il ritorno del Lupo nelle Alpi non poteva che destare sentimenti contrastanti. Un conflitto tra opposti sensi, anche con tracce arcaiche. Spesso, più di quanto non si possa immaginare ritorna la rappresentazione del lupo come belva. Un’interpretazione insopportabile per una naturalista per di più ambientalista (sic!), pur tuttavia degna di attenzione dal punto di vista socioeconomico e antropologico. Anzi da indagare e conoscere soprattutto se si ha l’ambizione di smantellare quei luoghi comuni duri a morire e, al contempo, disvelare i reali problemi dei montanari.

A parlare di “lupo mannaro” inteso come antropofago, a volte ci si mettono anche persone con una certa cultura e perciò consapevoli delle proprie affermazioni. In casi come questi diventa difficile non pensar male, tanto paiono lontani da un approccio razionale e scientifico o semplicemente da una normale capacità di analisi di fenomeni e fatti. Allo stesso modo fa meraviglia la confusione tra fatti e commenti, mescolanze che non aiutano a distinguere una narrazione fantasiosa da ciò che è realmente accaduto, perciò documentato e quindi dimostrabile. Un conto è recuperare i racconti, le leggende, le storie del passato per darne un’interpretazione socio-antropologica. Sempre utile ed interessante per capire l’animo umano e la società, così come ci hanno insegnato Adorno e De Martino con i fondamenti dell’antropologia culturale.

Diverso è insistere su stereotipi e luoghi comuni per alimentare fantasmi e paure, improponibili nel moderno Piemonte del terzo millennio. Non è assolutamente vero che il lupo attacca gli esseri umani addirittura al pari delle pecore. Il lupo è così timido e riservato da tenersi ben lontano dalla nostra specie. E’ un miracolo vederlo. Con questo modo di pensare si continua a considerare pericoloso per gli umani un animale come il lupo, sebbene in questi anni non ci sia mai stato nelle Alpi nessun caso di attacco alle persone.

Una valutazione difficile da accettare visto che quotidianamente conviviamo con rischi sia in casa che all’aperto, tanto enormi quanto incompresi. Percepire la giusta dimensione del rischio e convincere gli altri a farlo, credo sia un impegno minimo per un paese civile. Il lupo non è né buono né cattivo, è un animale come un altro. Probabilmente se lo si conoscesse un po’ di più e si studiassero i dati che abbiamo a disposizione (Progetto Lupo Regione Piemonte), si eviterebbero tante sciocchezze. A partire dal 1999 il numero di branchi di lupo presenti sul territorio regionale è aumentato e di conseguenza è cresciuto anche il numero di attacchi al bestiame domestico, pur non in maniera proporzionale.

Esiste una scienza che ci aiuta a conoscere il comportamento degli animali: l’etologia. A questa dovremmo affidarci quando vogliamo seriamente parlare di animali, siano essi lupi o cani domestici o quant’altro del regno animale. A partire dalle conoscenze scientifiche dovremmo iniziare a costruire una seria strategia per rendere possibile una convivenza con il ritorno del lupo. Anche se modesto, è innegabile il pericolo per le greggi, e su questo rischio occorre intervenire. Allo stresso modo occorre comprendere il forte patimento dei pastori “onesti” colpiti. Non capire la sofferenza per un gregge distrutto è da sconsiderati, ma la risposta deve essere “di testa”, non “di pancia”.

Occorre intervenire rafforzando quei progetti utili ad affrontare i reali problemi dovuti al ritorno del lupo nei pascoli montani. Progetti che realizzino monitoraggi continui sul territorio regionale, sui danni verso gli animali domestici. Sono da sostenere le attività di prevenzione, gestione, con team di veterinari come supporto agli allevatori, insieme a strumenti normativi per un rapido rimborso dei danni subiti. Non ultimi i premi per gli allevatori virtuosi che gestiscono il pascolo con buone pratiche. Attività come queste sono contemplate nell’ottimo progetto del Parco Regionale delle Alpi Marittime, che la Regione Piemonte, con poca lungimiranza, ha pensato di troncare interrompendo i finanziamenti dal 1° gennaio 2012. Un altro progetto importante, per dimensioni e per risultati è il Life Wolfnet, promosso dai parchi dell’Appennino insieme a Legambiente. Due esempi da seguire e sostenere se si vuole effettivamente il bene della montagna e dei montanari. In ultimo non va dimenticato che, laddove c’è la capacità di reggere la sfida della convivenza con il lupo, possono sorgere nuove e forti opportunità economiche. Un territorio che tra le sue offerte turistiche sa anche offrire e comunicare la possibilità di incontri con animali selvatici così affascinanti come il lupo, non può che trarne giovamento. La dimostrazione concreta è il bellissimo centro faunistico Uomini e Lupi di Entracque che in due anni di attività ha registrato più di 40 mila visitatori. Una potenzialità economica in più per il territorio montano, sarebbe sciocco disdegnarla in un periodo di crisi come questo.

Dieci anni con le aquile reali

Ci vuole molta pazienza per osservare le aquile reali. Più pazienza che per il normale bird-watching. Perché – racconta Francesco Framarin in questo suo libro uscito nel 2010 per Temi di Trento – “un’aquila, pur essendo un uccello che non tende affatto a nascondersi, può mostrarsi più elusiva di un pettirosso (…) e i suoi movimenti possono essere così ampi e rapidi da portarla facilmente fuori vista”. Con una singola planata essa può spostarsi di 8 km e più e anche se le sue dimensioni permettono di seguirla col binocolo a grande distanza, in montagna basta poco per perderla d’occhio. Del resto quella con la proverbiale vista acuta è lei, mentre chi l’osserva deve unire alla pazienza un buon binocolo e una certa conoscenza degli usi sia della specie sia dell’individuo o della coppia osservata.

Framarin, direttore per dieci anni del parco nazionale del Gran Paradiso, ha avuto modo di osservare questo magnifico rapace – la grande aquila più numerosa al mondo – in una delle sue zone di maggior densità: le Alpi occidentali.

L’Ottocento è stato un secolo tragico per tutta una serie di animali portati all’estinzione dalle persecuzioni umane: il lupo, l’orso, la lince e l’innocuo gipeto, creduto anch’esso un predatore. Solo l’aquila se l’è cavata ed ha resistito sulle Alpi fino a quando è stata dichiarata specie protetta. Ora si può affermare che le persecuzioni umane dirette sono ridotte al minimo, ma crescono quelle indirette dovute alla manomissione del territorio: strade, rifugi e linee elettriche ad alta quota, impianti e piste da sci, elicotteri etc.

Con il prezioso contributo delle testimonianze di altri osservatori e soprattutto di alcuni guardaparco, che hanno potuto cogliere comportamenti o episodi significativi di questo rapace (piuttosto infrequenti, quasi sempre rapidi e assai brevi, quindi difficili da vedere), l’autore ha indagato e illustrato molti aspetti della vita delle aquile reali: come volano, come segnalano e difendono il possesso del loro territorio, come si corteggiano, come e perché fanno più di un nido, quali sono i rapporti tra maschio e femmina durante la caccia o l’allevamento dei pulcini etc.

I molti “ho visto” (più spesso “ho veduto”) di questa narrazione trasmettono al lettore l’immediatezza dell’emozione dell’autore. Perché è chiaro che tanta pazienza e minuzia nell’osservazione è poi ripagata dal quello che si vede e ancor più da quello che si capisce sulle abitudini di questa regina dei cieli alpini.

Gli ultimi capitoli del libro, “Relazioni pericolose” e “Conflitti”, sono dedicati ai rapporti dell’aquila con le altre specie di uccelli, i rapaci in particolare. I più appassionanti sono quelli con il corvo imperiale. I due se le danno senza esclusione di colpi: talvolta l’aquila usa letteralmente i pugni, mentre il corvo sfrutta le sue doti di agilità per azioni di mobbing che finiscono per allontanare il grande rapace.